15 Maggio 2007 di Daniele Frulla
L’ingegneria del software Open Source trae le sue origini dall’annosa questione dell’Arte della Programmazione, perché creare un buon software applicativo è come creare un’opera d’arte con due differenze:
La prima non fa colpo sulle ragazze, la seconda difficilmente provocherebbe la paralisi dell’intero traffico aereo occidentale.
In entrambi i casi, però:
L’ingegneria del software Open Source dovrebbe trasformare le scienze del computer in attività affidabili, serie e riproducibili, permettendo al committente di definire esattamente ciò che desidera, ed ottenere qualcosa di similare alla sua richiesta ad un prezzo vicino a quello preventivato. Purtroppo ciò che avviene nell’informatica è tutt’altra cosa e lo sconforto ha avuto il sopravvento, perché si chiede una cosa e se ne ottiene un’altra che solo lontanamente ne evoca il ricordo.
Tutto cambiò alla fine del secolo scorso, quando un ricercatore si accorse che esistevano dei gruppi informatici che producevano dell’ottimo software, senza che nessuno glielo chiedesse e soprattutto che li pagasse. Nacque così il software libero, che libero non era in quanto si rifiutavano di lasciare gli altri liberi di rubare tale software. Una volta superato l’ultimo ostacolo, venne coniato il termine Open Source, che ai Project Manager fece venire un infarto, in quanto impossibilitati ad accaparrarselo e quindi a trarne profitto. Il software Open Source si basa su un’idea molto semplice: basta aprire i sorgenti ed un pessimo software privo di documentazione e programmato a spaghetti, diventa automaticamente un ottimo e diffuso software, grazie alle orde di hacker che vi si avventano sopra, correggendolo, migliorandolo e diffondendolo.
Fonte: www.newstechnology.eu
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